Proseguo la rilettura a proposito degli interventi, spesso senza senso, sulle mie schede da parte della redazione del Dizionario del western americano 1899 – 2022, edito da Gremese. La mia scheda di “Decisione al tramonto” (1957) Budd Boetticher è stata tagliata, cambiata e per di più con un vistoso errore redazionale là dove compare questa frase:
“Ci sono tre incontri chiave. Il primo, il barbiere, padre della sposa con Bart e Sam” dove è lampante che la sposa non è figlia del barbiere ma di Summerton. Si ride quando la correzione diventa gag.
E ora ecco la mia scheda originale.
Decisione al tramonto (Decision at Sundown, Scott-Brown Production – distribuito da Columbia,
1957, technicolor, 77’)
Re: Budd Boetticher; sc. Charles Lang Jr. (da un racconto di Vernon L. Fluharty); fo. Burnett Guffey;
mo. Al Clark; mu. Heinz Roemheld; int. Randolph Scott, John Carroll, Karen Steele, Valerie French,
Noah Beery Jr., John Archer, Andrew Duggan.
Un uomo (Randolph Scott-Bart Allison), un passato, una vendetta da compiere. Una moglie (Mary),
suicidatasi per sfuggire alla vergogna di confessare di averlo tradito. Tre anni di ricerche insieme
con l’amico Sam (Noah Beery Jr.) per rintracciare il seduttore, il presunto responsabile di questa
tragedia (John Carrol-Tate Kimbrough).
Molti anni fa, nel 1975, insieme con Riccardo Bianchi scrissi e pubblicai su Art Dimension Art un
saggio su questo film di Budd Boetticher intitolandolo “Cos’è Sundown per Budd Boetticher?” ed è
a questo scritto che mi rifaccio completamente poco più avanti.
I film di Budd Boetticher prodotti dalla Scott-Brown hanno un denominatore comune che è
formato dalla presenza di Budd Boetticher come autore e di Randolph Scott come protagonista.
Sono sette film che hanno inizio con quel capolavoro fantastico, elegiaco, bucolico, georgico che è
Seven Men From Now (I sette assassini, 1956), film su cui ha scritto in maniera profonda e
sensibile Andrè Bazin, sul numero 74 dei Cahiers du Cinéma intitolando il suo saggio “Un western
exemplaire”.
Infatti è Budd Boetticher stesso a sottolineare (numero 157 dei Cahiers du Cinéma) “Tutti i miei
film con Randy Scott raccontano più o meno la stessa storia, con delle variazioni. Un uomo, la cui
moglie è stata uccisa, cerca l’assassino. Ciò mi consente di mostrare rapporti sfuggevoli tra un
eroe, che si fissa a torto nella sua vendetta, e dei fuorilegge che, al contrario, tentano di rompere
con il proprio passato”.
“Amo le storie molto semplici … Provo dunque a raccontare una storia molto semplice” (lo confida
Budd Boetticher in un’intervista sul numero 212 dei Cahiers du Cinéma). In Decisione al tramonto,
a differenza degli altri western, l’azione viene rinchiusa negli spazi della città di Sundown. Mentre
negli altri suoi capolavori con Randolph Scott – come Seven Men from Now (I sette assassini, 1956),
The Tall T (I tre banditi, 1957), Ride Lonesome (L’albero della vendetta, 1959), Comanche Station
(La valle dei Mohicani, 1960) – la complessità degli spazi da percorrere e da attraversare si
manifestano mediante elementi naturali quali fiumi, colline rocciose (come le Alabama Hills, vicino
a Lone Pine), montagne, deserti, dove magari è situata la casa per la fermata della diligenza.
Pochi personaggi, spazio ristretto, o immenso (il che è lo stesso), tempo condensato. In questo
piccolo mondo un deviante catalizza una catena di rapporti a cascata: l’azione comincia a fluire, il
film trova la sua semplicità nella semplicità della messa in scena, nella continuità del montaggio,
nella scomposizione – dilatazione – del tempo.
Da un esterno naturale, dove si reincontrano i due amici Bart e Sam, si passa alla visione della
cittadina.
Importanza ritmica della dissolvenza in Boetticher: dal campo lungo al campanile della chiesa
scampanante (che appare nell’esatto punto dove sono scomparsi Bart e Sam). Musicalità mentale
del montaggio. E ancora sui due amici che arrivano nella città di Sundown. Le campane battono a
martello, è il giorno delle nozze di Kimbrough, il padrone della città … Scoprire la geografia del
villaggio attraverso il proprio spostarsi in esso o quello degli abitanti, ricostruirne la mappa psico-
sociologica mediante i dialoghi e i silenzi. Tre incontri chiave innescano la novità nella
configurazione della comunità. Il primo, nella sua bottega, tra il barbiere “maggioranza silenziosa”,
il signor Summerton, padre della sposa, tessitore di un potere così occulto da non contare nulla da
una parte, e Bart e Sam a stuzzicare la loro passività dall’altra. Il secondo tra i due amici, lo stalliere
e il dottor Starrow (John Archer) nel deposito dei cavalli – illustrare il luogo che diventerà il rifugio
di Bart durante la sparatoria collettiva – dove il dottore esprime una velata forma di dissenso alla
prepotenza di Kimbrough. E infine il terzo al bar (preceduto dall’incontro Tate-Ruby,
scomposizione del punto di vista della narrazione) in cui i due stranieri fanno la conoscenza con lo
sceriffo Sweede (Andrew Duggan) e lo scoprono braccio armato del potente in un concitato
scambio di provocazioni.
Determinanti nel corso del film sono i dialoghi tra i protagonisti sempre chiusi in spazi cittadini.
Approfondire i caratteri delle personalità in gioco attraverso “i tre incontri-dialogo che risolvono il
triangolo amoroso Ruby-Kimbrough-Lucy: il primo è quello tra Kimbrough e Ruby; il secondo tra
Kimbrough e Lucy; il terzo tra Kimbrough e Ruby nuovamente”.
Nella parte iniziale del film, quando l’azione si è già spostata nella cittadina di Sundown (e si deve
ricordare che il film si risolve in una giornata completa) tutto è predisposto per lo sposalizio tra il
villain Kimbrough e la bella figlia di Summerton. L’amante di Kimbrough, Ruby, non rimane in
disparte, diventando perno di molte azioni intorno a Kimbrough. È proprio Ruby a evitare la
sparatoria finale tra Kimbrough e Bart ferendo, volutamente per salvarlo, l’amante e andandosene
via con lui.
Sono le undici meno dieci, la gente si affretta alla chiesa dove si tenterà di celebrare il matrimonio,
tentativo che fallisce per l’intromissione di Bart che, dopo aver accennato a Mary, avverte
Kimbrough di volerlo uccidere… Poi, lanciata la sfida, Bart fugge attraverso le vie della città
insieme con Sam che lo aveva atteso fuori dal tempio. Prima a piedi, quindi su un carro che, giunto
all’incrocio principale di Sundown, si ribalta. La frenesia prevista, ma pur sempre angosciosa della
fuga, si riversa nella fuga di carrelli che paiono entrare l’uno nell’altro. Ripercorrere a tutta
velocità una topografia che si è imparato a conoscere. Arrestato bruscamente il ritmo dell’azione…
Bart e Sam trovano scampo nella stalla, dove respingono l’assalto della marmaglia di Tate
Kimbrough, che nel frattempo ha dato ordine allo sceriffo Sweede di liquidare la faccenda entro
un’ora, perché ha ancora intenzione di sposarsi…
Bart e Sam, Kimbrough e la sua banda e la comunità attualmente ancora “incerta”: questi sono gli
elementi che alimentano il conflitto esistenziale del film.
Il rifugio, dove sono asserragliati Bart e Sam, diviene un luogo cieco (gli scuri abbassati per
impedire a quelli all’esterno di vedere all’interno) e la meta di un pellegrinaggio di persone che
cercano di dare soluzione al conflitto. È in questa scelta di uno spazio chiuso da assaltare che
hanno luogo molte delle azioni di questo film.
Esempio di regia e montaggio: Budd Boetticher riesce a presentare Kimbrough e il suo mondo
(unico residuo visibile di un passato che il film ha però sempre presente), scegliendo il metodo
della semplicità e della naturalezza.
I personaggi vengono analizzati nel tempo di una sola giornata che si prolunga e si concentra nel
passato. Boetticher li costringe a rivelarsi premendoli dentro e contro uno spazio che non
permette evasioni.
Bart Allison, o il mito del Sud. La dedizione totale alla causa ovvero battersi al di là della giustezza
dell’idea, perché abbandonare significa una cosa soltanto: tradire. Scoprire nell’essenzialità del
proprio mondo (la vendetta) quasi tutti i nessi che regolano l’agire dell’uomo, tranne quelle che
ora, in una comunità che tutti li assomma e li muove, mettono in crisi il personaggio del
vendicatore… La maschera rocciosa di Randolph Scott, come quella di William S. Hart (come dice
Bazin), frana nella triste ebbrezza finale: ciò che doveva dargli la vita (uccidere Kimbrough,
resuscitare Mary) l’ha invece ucciso definitivamente, lasciandolo solo con una vendetta che non
serve più a niente.
È proprio nel finale, addirittura dopo l’uccisione a tradimento dell’amico Sam, che dovrebbe
avvenire la sparatoria tra Bart e Kimbrough.
Nella strada, punteggiata di corpi senza vita, i due rivali si fronteggiano pronti a darsi la morte, pur
sapendo che qualsiasi morte ha un valore puramente di dignità, perché qualcosa è mutato in tutti i
vertici del triangolo iniziale Bart-Kimbrough-cittadina. L’irresolubilità sostanziale della situazione è
rimediata da Ruby: mentre la tensione si scandisce in tempi prolungati dalla ripetizione dei
movimenti, e lo spazio si riempie con solennità, lei impugna il fucile e mira alla spalla di
Kimbrough, che le stramazza tra le braccia. I due amanti si imbarcano poi su un calesse e se ne
vanno, mentre Bart, ubriacatosi per il crollo dei valori cui era legato e per l’asfissiante
incomprensione della gente, che non comprende e da cui non è compreso, se ne riparte, solo, da
Sundown. Sono le sei.
È Budd Boetticher che ancora nel numero 212 dei Cahiers du Cinéma dice: “nei film con Randy ho
sempre voluto che il cattivo potesse scambiarsi il ruolo con Scott e che non si avvertisse il
cambiamento: che i cattivi amassero Scott…”
Francesco Ballo